Le disposizioni relative al primo e pronto soccorso aziendale  sono individuate dal Decreto del Ministro della salute 15 luglio 2003, n. 388. Riguardo al primo soccorso nei luoghi di lavoro sono  molti gli aspetti importanti da prendere in considerazione come:

la classificazione delle aziende, le caratteristiche dei presidi e delle attrezzature, i requisiti del personale addetto e l’organizzazione delle procedure di soccorso.

Il datore di lavoro deve garantire le seguenti attrezzature:

  • cassetta di primo soccorso, tenuta presso ciascun luogo di lavoro (mezzi di trasporto , uffici,cantieri ecc) adeguatamente custodita in un luogo facilmente accessibile ed individuabile con segnaletica appropriata, contenente la dotazione minima indicata nell’Allegato 1 del decreto;
  • un mezzo di comunicazione idoneo ad attivare rapidamente il sistema d’emergenza del Servizio sanitario nazionale.     

       Riportiamo nella Tabella 1 la classificazione aziendale dettata dal DM 388/2003:

Per tutte le  informazioni relative ai corsi di primo e pronto soccorso aziendale non esitate a contattarci. 

Il regolamento europeo è ormai pienamente in vigore da quasi due anni e mezzo e pertanto il periodo di grazia, informalmente concesso in parecchi paesi, è giunto al termine. La presidente del comitato europeo per la protezione dei dati, Andrea Jelinek, ed il nuovo garante irlandese, durante un recente incontro a Bruxelles, hanno fatto presente che ormai il periodo di tolleranza, che in molti paesi è stato attuato, per dare tempo ai titolari di recepire correttamente i dettati del nuovo regolamento europeo, è quasi giunto al termine. Ci si aspetta che nel 2019 comincino ad essere applicate le sanzioni, calcolate secondo le nuove modalità, con un incremento sensibile del numero dei soggetti coinvolti.

La presidente del comitato europeo ha già fatto presente che il comitato sta lavorando su alcuni problemi legati al trasferimento di dati fra vari paesi ed ha già avuto notizia più di 3000 violazioni dei dati, che dovranno essere esaminate secondo le nuove modalità.

Di seguito proponiamo qualche chiarimento.

Cosa è il registro delle attività di trattamento?

L’art. 30 del Regolamento (EU) n. 679/2016 (di seguito “RGPD”) prevede tra gli adempimenti principali del titolare e del responsabile del trattamento la tenuta del registro delle attività di trattamento. E’ un documento contenente le principali informazioni (specificatamente individuate dall’art. 30 del RGPD) relative alle operazioni di trattamento svolte dal titolare e, se nominato, dal responsabile del trattamento (sul registro del responsabile, vedi, in particolare, il punto 6).

Costituisce uno dei principali elementi di accountability del titolare, in quanto strumento idoneo a fornire un quadro aggiornato dei trattamenti in essere all’interno della propria organizzazione, indispensabile per ogni attività di valutazione o analisi del rischio e dunque preliminare rispetto a tali attività.

Il registro deve avere forma scritta, anche elettronica, e deve essere esibito su richiesta al Garante.

2. Chi è tenuto a redigerlo?

Tutti i titolari e i responsabili del trattamento sono tenuti a redigere il Registro delle attività di trattamento (v. art. 30, par. 1 e 2 del RGPD).

In particolare, in ambito privato, i soggetti obbligati sono così individuabili:

  • imprese o organizzazioni con almeno 250 dipendenti;
  • qualunque titolare o responsabile (incluse imprese o organizzazioni con meno di 250 dipendenti) che effettui trattamenti che possano presentare un rischio – anche non elevato – per i diritti e le libertà dell’interessato;
  • qualunque titolare o responsabile (incluse imprese o organizzazioni con meno di 250 dipendenti) che effettui trattamenti non occasionali;
  • qualunque titolare o responsabile (incluse imprese o organizzazioni con meno di 250 dipendenti) che effettui trattamenti delle categorie particolari di dati di cui all’articolo 9, paragrafo 1 RGPD, o di dati personali relativi a condanne penali e a reati di cui all’articolo 10 RGPD.

Rientrano nella categoria delle “organizzazioni” di cui all’art. 30, par. 5 anche le associazioni, fondazioni e i comitati.

Alla luce di quanto detto sopra, sono tenuti all’obbligo di redazione del registro, ad esempio: 

  • esercizi commerciali, esercizi pubblici o artigiani con almeno un dipendente (bar, ristoranti, officine, negozi, piccola distribuzione, ecc.) e/o  che  trattino dati sanitari dei clienti (es. parrucchieri, estetisti, ottici, odontotecnici, tatuatori ecc.);
  • liberi professionisti con almeno un dipendente e/o che trattino dati sanitari e/o dati relativi a condanne penali o reati (es. commercialisti, notai, avvocati, osteopati, fisioterapisti, farmacisti, medici in generale);
  • associazioni, fondazioni e comitati ove trattino “categorie particolari di dati” e/o dati relativi a condanne penali o reati (i.e. organizzazioni di tendenza; associazioni a tutela di soggetti c.d. “vulnerabili” quali ad esempio malati, persone con disabilità, ex detenuti ecc.; associazioni che perseguono finalità di prevenzione e contrasto delle discriminazioni di genere, razziali, basate sull’orientamento sessuale, politico o religioso ecc.; associazioni sportive con riferimento ai dati sanitari trattati; partiti e movimenti politici; sindacati; associazioni e movimenti a carattere religioso);
  • il condominio ove tratti “categorie particolari di dati” (es. delibere per interventi volti al superamento e all’abbattimento delle barriere architettoniche ai sensi della L. n. 13/1989; richieste di risarcimento danni comprensive di spese mediche relativi a sinistri avvenuti all’interno dei locali condominiali).

Infine, si precisa che le imprese e organizzazioni con meno di 250 dipendenti obbligate alla tenuta del registro potranno comunque beneficiare di alcune misure di semplificazione, potendo circoscrivere l’obbligo di redazione del registro alle sole specifiche attività di trattamento sopra individuate (es. ove il trattamento delle categorie particolari di dati si riferisca a quelli inerenti un solo lavoratore dipendente, il registro potrà essere predisposto e mantenuto esclusivamente con riferimento a tale limitata tipologia di trattamento).

Al di fuori dei casi di tenuta obbligatoria del Registro, anche alla luce del considerando 82 del RGPD, il Garante ne raccomanda la redazione a tutti i titolari e responsabili del trattamento, in quanto strumento che, fornendo piena contezza del tipo di trattamenti svolti, contribuisce a meglio attuare, con modalità semplici e accessibili a tutti, il principio di accountability e, al contempo, ad agevolare in maniera dialogante e collaborativa l’attività di controllo del Garante stesso.

Si invita altresì a consultare il documento interpretativo del 19 aprile 2018 del Gruppo ex art. 29 (Ora Comitato europeo per la protezione dei dati) reperibile al seguente link: http://ec.europa.eu/newsroom/article29/item-detail.cfm?item_id=624045

Per maggiori informazioni non esitate a contattarci.

 

Pubblico questo video perchè penso che il dott. Goldman, con questo suo monologo possa insegnare a tutti qualcosa,indipendentemente dal tipo di lavoro. Gli errori fanno parte della vita di tutti gli uomini,c'è chi come un medico può sbagliare e mettere a repentaglio la vita del suo paziente, c'è l'autista che sbagliando può causare un incidente mortale, c'è l'operaio che può sbagliare nel manovrare un carico e mettere in pericolo i suoi colleghi, non saremo mai capaci di eliminare gli errori, ma possiamo condividerli,dobbiamo raccontarli "I remember", gli stessi errori si ripetono in tutto il mondo anno dopo anno e decennio dopo decennio;questo possiamo migliorarlo.

Monologo Brian Goldman

 

Karoshi: un fenomeno sociale in crescita

Ha suscitato grande impressione la recente notizia di nuovi casi di ‘karoshi’ in Giappone, una piaga con cui il Paese del Sol Levante si trova da tempo a fare i conti. Quattro impiegati della Mitsubishi Electric, tra il 2014 e il 2017, hanno sofferto di un profondo stato di stress psicofisico che ha portato due di loro a togliersi la vita. 

“Karoshi” è il termine giapponese che descrive la morte per eccesso di lavoro, un fenomeno sociale tanto inquietante quanto diffuso di cui vengono riconosciute due tipologie: le morti causate da problemi cardiovascolari per eccessivo stress e i suicidi in seguito a depressione.
In base ai dati ufficiali del ministero del Lavoro giapponese, sono 190 i casi di ‘karoshi’ certificati nell’anno 2017. Nel 90% dei casi le persone avevano accumulato oltre 80 ore di straordinario mensile, mentre per il 50% le ore di extra lavoro superavano quota 100. Gli esperti giudicano questi dati solo come la punta dell’iceberg perché, per svariati motivi, molti casi non vengono segnalati.
È presumibile, infatti, che il numero reale sia molto più alto (si parla perfino di 9.000 casi l’anno) e il fenomeno pare interessare soprattutto quei settori, come la sanità e le costruzioni, che oggi soffrono di una grave carenza di manodopera. Una situazione talmente grave che il “karoshi” è ufficialmente riconosciuto, nelle statistiche demografiche nazionali, come una causa di morte, alla pari di malattie come il cancro o degli incidenti stradali.
In Giappone, lavorare fino allo sfinimento è considerato un gesto ammirevole, che dimostra la propria dedizione e il proprio rispetto nei confronti dell’azienda e dei superiori. Anche quando non richiesto esplicitamente, sono gli stessi dipendenti a scegliere volontariamente di trattenersi in ufficio ben oltre l’orario previsto, fino a tarda sera. È un fenomeno così profondamente radicato nella cultura giapponese e nella mentalità dei lavoratori che le campagne di sensibilizzazione e le iniziative intraprese per tentare di migliorare la situazione hanno finora dato scarsissimi risultati.

Fortunatamente, nel nostro Paese non si ha notizia di situazioni estreme di questo genere. Con questo non si vuole certo dire che in Italia non si soffra di stress nei posti di lavoro. Anzi: secondo i risultati di uno studio condotto per quasi quattro anni dalla Federazione Italiana Aziende Sanitarie Ospedaliere (FIASO) su un campione di circa 65 mila lavoratori che ha coinvolto 19 tra Asl e Ospedali, lo stress lavoro-correlato in Italia colpisce un lavoratore su quattro.
Si tratta di una patologia che si va espandendo sempre più nei ritmi vorticosi della nostra società ma che, purtroppo, per una serie di fattori legati principalmente alle difficoltà di accertamento della causa lavorativa (spesso di natura multifattoriale), risulta sottostimata nelle statistiche ufficiali.
Sulla base dei dati INAIL relativi all’ultimo quinquennio disponibile (2013-2017), su una media annua di circa 420 patologie da stress lavoro-correlate segnalate ne vengono riconosciute soltanto 30 su tutto il territorio nazionale, pari a poco più del 7 % delle denunce. Numeri assolutamente inaccettabili, soprattutto in considerazione di quanto previsto dal Testo unico per la salute e sicurezza sul lavoro (d.lgs. n. 81/2008) sull’obbligo della valutazione e gestione di questa particolare tipologia di rischio lavorativo.

Ma, quasi come per un tragico paradosso, nel nostro Paese si muore per mancanza di lavoro.
La recente, grave e lunga crisi economica ha, come noto, prodotto conseguenze devastanti su occupazione, produzione, reddito, consumi e risparmi delle famiglie. Aspetti socioeconomici dei quali molto si è parlato e in svariate sedi; non molto spazio, invece, è stato riservato agli effetti negativi della crisi sul benessere psicologico delle persone.
La letteratura scientifica è concorde nel dimostrare che maggiore è la disponibilità di risorse economiche, migliori sono i valori di tutti gli indicatori di salute. D’altronde, che la stabilità economica e una condizione lavorativa soddisfacente si associno al benessere psicologico e abbia effetti positivi sulla vita degli individui in termini di autostima e prospettiva per il futuro, è un dato non solo assodato dal senso comune ma anche confermato da una serie di studi scientifici.
Dai risultati di un recente studio condotto nella provincia di Modena, emerge come nel periodo della crisi economica si sia registrato un incremento degli accessi di persone ai Centri di Igiene Mentale, pari al 25%  per gli uomini e al 13% per le donne e un aumento consistente e diffuso dell’uso di farmaci antidepressivi. 
Ma c’è un altro aspetto, certamente il più tragico, delle conseguenze derivate dalla crisi: i suicidi.  Secondo una ricerca della Linkus Campus University, dall’inizio della crisi economica ad oggi più di 700 persone hanno deciso di togliersi la vita per motivi economici. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di maschi (80% circa), di età compresa generalmente tra i 45 e i 64 anni. Il 44%  è costituito da imprenditori, in genere di piccole aziende andate fallite, ma è molto alto anche il numero dei lavoratori che la crisi ha reso disoccupati,  che raggiunge il 40% del totale.

Dust at work. Questo il nuovo filmato con Napo protagonista pubblicato da Eu-Osha per la campagna biennale Ambienti di lavoro sani e sicuri 2018-2019 – Salute e sicurezza negli ambienti di lavoro in presenza di sostanze pericolose. Polveri sul lavoro, rischi per la salute, prevenzione.

Stabilimenti, cantieri, pastifici, falegnamerie, allevamenti. Il video presenta vari luoghi di lavoro nei quali possono presentarsi rischi ambientali, inalazione di polveri e materiali nocivi e tossici, rischio esplosioni per innesco con gas e sostanze pericolose.

Polveri di legno, metalli, polveri finissime. Napo mostra la gestione del rischio, Dpi e organizzazione dei sistemi di prevenzione per evitare infortuni e malattie professionali, patologie respiratorie e della pelle.

Nuovo filmato di Napo

 

Circolare del Comitato Nazionale dell’Albo Gestori Ambientali n.150 del 26/09/2018

Il Comitato Nazionale dell’Albo Gestori Ambientali ha definito che, ai fini della dimostrazione della corretta capacità finanziaria, la presentazione di referenze bancarie può essere effettuata esclusivamente mediante l’utilizzo di affidamenti rilasciati da istituti bancari.

Questa disposizione si applica per tutte le categorie d’iscrizione all’Albo per le quali è richiesta tale dimostrazione, cioè per le categorie 1, 4, 5, 8, 9 e 10.

Circolare Albo Gestori Ambientali

Per maggiori informazioni siamo a vostra completa disposizione.

 

Il nuovo Regolamento Europeo in materia di Gestione di Protezione dei Dati in vigore dal prossimo 25 maggio, ha l’obiettivo di rendere il libero scambio di dati, uno scambio sicuro, richiedendo così nuove modalità di trattamento dei dati tenendo conto di ogni aspetto tecnico, organizzativo e procedurale.

Il GDPR, in particolare, avrà un impatto su tutti i professionisti e le imprese che, a prescindere da dove si trovino, vengano in contatto con i dati personali dei cittadini europei.

Campo di applicazione materiale

Più tecnicamente, le nuove norme interessano tutti i professionisti e le imprese che trattano i dati personali delle (sole) persone fisiche in maniera interamente o parzialmente automatizzata o in maniera non automatizzata se i dati sono contenuti in un archivio o sono destinati a figurarvi.

De Simone Consulting s.r.l.s. , offre una consulenza mirata  a guidare i professionisti e le imprese passo dopo passo in tutte le fasi necessarie al raggiungimento della Compliance GDPR: analisi, verifica, predisposizione e monitoraggio delle procedure, documenti e adempimenti.

Per maggiori informazioni non esitate a contattarci.

 

La mancanza della licenza edilizia non ha alcun rilievo sulla configurabilità o meno di un cantiere. Se così non fosse in presenza di attività abusive non sarebbe applicabile il diritto penale del lavoro con agevole elusione delle norme di sicurezza.

La sentenza in commento fornisce utili indicazioni su due aspetti molto discussi fra gli operatori del settore e cioè quello degli elementi in presenza dei quali si può ritenere che vi sia un cantiere edile, così come definito nell’articolo 89 comma 1 lettera a) del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81, ai fini dell’applicazione di cui al Capo I del Titolo IV dello stesso D. Lgs. e quello del legame che intercorre fra la configurabilità di un cantiere e l’approvazione della licenza edilizia.  La Corte suprema si è espressa, nel caso in esame, in merito a un ricorso nel quale il committente di un’opera edile aveva sostenuto che, benché in allestimento, non vi fosse un vero e proprio cantiere in quanto la pratica amministrativa della licenza edilizia era giacente in Comune, incompleta e in attesa della relazione geologica e che non aveva inoltre nominato il coordinatore per la progettazione non essendo stato completato per tale motivo il progetto dell’opera.

La mancata approvazione di una licenza edilizia, ha precisato infatti la suprema Corte, non ha alcun rilievo sulla configurabilità o meno di un “cantiere” così come definito dal D. Lgs. n. 81/2008; se così non fosse, in presenza di attività abusive e illegali, in ipotesi completamente “a nero”, non sarebbe applicabile il diritto penale del lavoro con agevole elusione della disciplina posta, essenzialmente, a protezione dei lavoratori il che, in tutta evidenza, non è e non può essere. Per quanto riguarda l’obbligo della nomina del coordinatore inoltre, ha precisato ancora la Corte di Cassazione, lo stesso scatta, così come esplicitamente indicato dalle norme di sicurezza, durante la progettazione dell’opera e non alla conclusione della stessa.

Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in cassazione

La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza del Tribunale che aveva condannati il committente di alcuni lavori di edificazione di un fabbricato di civile abitazione, l’amministratore dell’impresa affidataria e il datore di lavoro di un’impresa da questa incaricata del montaggio di una gru, già riconosciuti, all’esito del dibattimento di primo grado, responsabili di avere cagionato, sia per colpa generica che con violazione della disciplina antinfortunistica, con condotte colpose indipendenti ex art. 113 cod. pen., la morte per folgorazione di un operaio dell’impresa di montaggio, ha rideterminato, riducendola, la pena nei confronti di tutti gli imputati.

Con riferimento alla dinamica dell’evento infortunistico era emerso che il lavoratore si trovava, assieme ad altri due operai della stessa impresa, all’interno di un’area recintata di proprietà della ditta committente intento ad eseguire dei lavori di scarico e di posizionamento a terra di alcuni componenti in traliccio di una gru a torre di proprietà dell’impresa affidataria, già installata in un precedente cantiere. Verosimilmente, nell’accompagnare da terra il carico con una mano appoggiata all’elemento metallico della gru agganciato, tramite catene, ad un’autogru che veniva movimentata dal collega, il lavoratore veniva in contatto con un conduttore in tensione ivi presente e decedeva sul colpo per folgorazione causata dalla corrente elettrica.

Al committente era stato contestato di avere omesso, in violazione dell’art. 90, comma 3, del D. Lgs. n. 81/2008, di designare il ” coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione” che, ove fosse stato nominato, avrebbe dovuto redigere, ai sensi dell’art. 91, comma 1, lett. a), dello stesso D. Lgs., un piano di sicurezza e di coordinamento che prevedesse (come prescritto al punto n. 2.1.2. lett. c dell’all. XV allo stesso D. Lgs.) “una relazione concernente l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi concreti, con riferimento all’area e all’organizzazione del cantiere, alle lavorazioni e alle loro interferenze” e che individuasse (come prescritto al punto n. 2.1.2. lett. g dell’all. XV) “le modalità organizzative della cooperazione e del coordinamento, nonché della reciproca informazione tra i datori di lavoro e tra questi e i lavoratori autonomi” e contenesse altresì (come prescritto al punto n. 2.2.1. lett. a dell’all. XV) un’analisi delle “caratteristiche dell’area con particolare attenzione alla presenza di linee elettriche aree o conduttore sotterranee”.

Al responsabile dell’impresa affidataria era stato contestato di avere omesso, in violazione dell’art. 97, comma 3, lett. a), del D. Lgs. n. 81 del 2008, di operare la cooperazione ed il coordinamento tra i datori di lavoro e i lavoratori autonomi.

Al responsabile dell’impresa incaricata del montaggio della gru era stato contestato di avere omesso, in violazione dell’art. 96, comma 1, lett. g), del D. Lgs. n. 81 del 2008, in relazione all’art. 83, comma 1, dello stesso decreto, di prevedere nel piano operativo per la sicurezza ( POS) misure preventive e protettive specifiche (di cui al punto n. 3.2.1., lett. g, del richiamato allegato XV al D. Lgs. n. 81 del 2008) in relazione ai rischi connessi alle lavorazioni in cantiere per l’ipotesi di situazioni che espongano gli operatori a rischio elettrico per la presenza di conduttori in tensione.

Tutti gli imputati hanno ricorso in cassazione tramite i propri difensori avanzando diverse motivazioni. Il committente, in particolare, ha lamentata una erronea applicazione degli artt. 90, comma 3, e 91, comma 1, del D. Lgs. n. 81 del 2008 in quanto l’obbligo della nomina del coordinatore è legata al fatto che in cantiere vi fosse la compresenza di più imprese e alla condizione che la fase di progettazione fosse conclusa, cose non verificatesi nella circostanza in esame in quanto per la realizzazione dell’opera era prevista la presenza della sola impresa affidataria e in quanto l’area nella quale doveva essere installato il cantiere al momento dell’infortunio era adibita solo a deposito di materiali. Con riferimento alla mancata nomina di un coordinatore che avrebbe potuto segnalare nel piano di sicurezza la presenza della linea elettrica, il committente ha osservato altresì che l’infortunio comunque si sarebbe verificato ugualmente in quanto gli operai erano venuti a conoscenza della presenza del traliccio della linea elettrica fin dalla sera precedente.

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i ricorsi ritenendoli infondati. Con riferimento, in particolare, al ricorso presentato dal committente la stessa ha fatto presente che nel cantiere era stata accertata la presenza di più imprese in quanto nello stesso oltre alla ditta appaltatrice operava anche l’impresa incaricata del montaggio della gru alle dipendenze della quale lavorava proprio l’operaio infortunato. La stessa Corte ha evidenziato inoltre che il diritto del lavoro è incentrato sul principio di effettività e che nell’area di proprietà del committente “vi era di fatto, un cantiere in attività, sia pure iniziale, e non già un mero, inerte, deposito; e la circostanza che non fosse intervenuta l’approvazione della licenza edilizia non ha alcun rilievo poiché l’emanazione dell’atto amministrativo in questione è indifferente ai fini della configurabilità o meno di un ‘cantiere’”. “Ove così non fosse del resto”, ha così proseguito la Sez. IV  “in presenza di attività lavorative abusive ed illegali, in ipotesi completamente ‘in nero’, non sarebbe applicabile il diritto penale del lavoro, con agevole elusione della disciplina posta – essenzialmente – a protezione dei lavoratori: il che, con tutta evidenza, non è e non può essere”.

Con riferimento poi all’assunto secondo il quale la nomina del coordinatore della sicurezza sarebbe obbligatoria soltanto una volta conclusa la fase di progettazione, la Corte suprema ha fatto notare che lo stesso contrasta con la differente dizione testuale del D, Lgs. n. 81/2008 secondo cui il coordinatore per la progettazione, ai sensi dell’art. 91, comma 1, del D. Lgs. n. 81 del 2008, redige il piano di sicurezza e di coordinamento durante la progettazione dell’opera e comunque prima della richiesta di presentazione delle offerte, un “durante” che, evidentemente, presuppone che la progettazione e la redazione del piano precedano la concreta esecuzione dell’avvio dei lavori, cosa che, secondo i Giudici di merito, è stata sovvertita nella vicenda in esame in cui si è agito a prescindere dalla progettazione e dalla redazione del piano di sicurezza.

L’imputato peraltro, secondo la Sez. IV, ha banalizzato il ruolo del coordinatore della sicurezza in fase di progettazione paragonandolo ad un disegnatore che si doveva limitare a redigere una mappa sulla quale segnare le linee elettriche presenti trascurando, così, i complessi ed importanti compiti del coordinatore della sicurezza in fase di progettazione ex art. 91, comma 1, lett. a), del D. Lgs. n. 81 del 2008, e cioè il compito di redigere un piano di sicurezza e di coordinamento che preveda (punto n. 2.1.2. lett. c dell’all. XV al D. Lgs. n. 81 del 2008) “una relazione concernente l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi concreti, con riferimento all’area e all’organizzazione del cantiere alle lavorazioni e alle loro interferenze” e che individui (punto n. 2.1.2. lett. g dell’all. XV) “le modalità organizzative della cooperazione e del coordinamento, nonché della reciproca informazione tra i datori di lavoro e tra questi e i lavoratori autonomi” e contenga altresì (punto n. 2.2.1. lett. a dell’all. XV) un’analisi delle “caratteristiche dell’area con particolare attenzione alla presenza di linee elettriche aree o conduttore sotterranee”. Cosa che nella circostanza è mancata.

 

Autorizzazione ponteggi, dal Ministero le istruzioni per il rinnovo delle autorizzazioni per la costruzione e l’impiego. Il rinnovo va richiesto ogni 10 anni

Con la circolare n. 10 del 28 maggio 2018 il Ministero del lavoro ha fornito le istruzioni per il rinnovo delle autorizzazioni riguardanti la costruzione e l’impiego di ponteggi.

Autorizzazione ai sensi del dlgs 81/2008

Ai sensi dell’art. 131, comma 5, del dlgs 81/2008 e s.m.i., per ciascun tipo di ponteggio il fabbricante deve chiedere al Ministero del lavoro l’autorizzazione alla costruzione ed all’impiego, corredando la domanda di una relazione tecnica nella quale devono essere specificati i seguenti elementi:

  • descrizione degli elementi che costituiscono il ponteggio, loro dimensioni con le tolleranze ammissibili e schema dell’insieme
  • caratteristiche di resistenza dei materiali impiegati e coefficienti di sicurezza adottati per i singoli materiali
  • indicazione delle prove di carico, a cui sono stati sottoposti i vari elementi
  • calcolo del ponteggio secondo varie condizioni di impiego
  • istruzioni per le prove di carico del ponteggio
  • istruzioni per il montaggio, impiego e smontaggio del ponteggio
  • schemi-tipo di ponteggio con l’indicazione dei massimi ammessi di sovraccarico, di altezza dei ponteggi e di larghezza degli impalcati per i quali non sussiste l’obbligo del calcolo per ogni singola applicazione

Chiunque intende impiegare ponteggi deve farsi rilasciare dal fabbricante copia della suddetta autorizzazione e delle istruzioni e schemi.

L’autorizzazione è soggetta a rinnovo ogni 10 anni al fine di garantire la verifica dell’adeguatezza del ponteggio all’evoluzione del progresso tecnico riguardante la costruzione dei ponteggi fissi, in relazione ai criteri e alle modalità con cui sono state rilasciate le autorizzazioni in corso.

In caso di violazione di tale obbligo, le sanzioni per i datori di lavoro e i dirigenti, sono: arresto sino a 2 mesi o ammenda da 548,00 a 2.192,00 euro (art. 159, co. 2, lett. c).

Circolare 10/2018

Al fine di definire le norme tecniche specifiche riguardanti i ponteggi fissi e provvedere all’aggiornamento delle istruzioni per la costruzione e l’impiego dei ponteggi, il Ministero del lavoro ha definito, con la circolare in esame, un insieme di indicazioni tecniche necessarie a verificare l’adeguatezza delle autorizzazioni attualmente in corso all’evoluzione del progresso tecnico; nonché alle nuove Norme tecniche per le costruzioni, NTC 2018 (decreto 17 gennaio 2018), in vigore dal 22 marzo sorso.

Istanza di rinnovo

Il titolare dell’autorizzazione ministeriale dovrà trasmettere al Ministero apposita istanza di rinnovo delle autorizzazioni attualmente in corso, allegando a tale richiesta:

  • una copia delle singole autorizzazioni a suo tempo rilasciate
  • una dichiarazione resa dal legale rappresentante, ai sensi del dpr 445/2000, circa il mantenimento dei requisiti di sicurezza del ponteggio
  • una dichiarazione, resa ai sensi del dpr 445/2000, dalla quale risulti che la produzione del ponteggio è tuttora in corso

L’istanza così formulata, dovrà essere inviata via PEC (dgrapportilavoro.div3@pec.lavoro.gov.it.) entro il 15 giugno 2018.

Istanze di rinnovo già presentate

In caso di istanze di rinnovo presentate prima dell’emanazione della circolare 10/2018, le stesse dovranno essere integrate secondo le nuove istruzioni ed entro il termine indicato.

Infine, l’autorizzazione ministeriale si intenderà automaticamente revocata qualora non sia stata trasmessa regolare istanza di rinnovo entro il 15 giugno 2018.

Il nuovo Regolamento Europeo in materia di Gestione di Protezione dei Dati in vigore dal  25 maggio, ha l’obiettivo di rendere il libero scambio di dati, uno scambio sicuro, richiedendo così nuove modalità di trattamento dei dati tenendo conto di ogni aspetto tecnico, organizzativo e procedurale.

Il GDPR, in particolare, avrà un impatto su tutti i professionisti e le imprese che, a prescindere da dove si trovino, vengano in contatto con i dati personali dei cittadini europei.

Campo di applicazione 

Più tecnicamente, le nuove norme interessano tutti i professionisti e le imprese che trattano i dati personali delle (sole) persone fisiche in maniera interamente o parzialmente automatizzata o in maniera non automatizzata se i dati sono contenuti in un archivio o sono destinati a figurarvi.

De Simone Consulting s.r.l.s. , offre una consulenza mirata  a guidare i professionisti e le imprese passo dopo passo in tutte le fasi necessarie al raggiungimento della Compliance GDPR: analisi, verifica, predisposizione e monitoraggio delle procedure, documenti e adempimenti.

Per maggiori informazioni non esitate a contattarci.